Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

The Sound of the Unconscious

Incontro con Ludovica Grassi

Introduzione a cura di Donatella Lisciotto
CPdS - 13 novembre (Messina)

Prima ancora di essere psicoanalista Ludovica Grassi è stata musicista. E credo che questa esperienza sia rimasta una sua peculiarità anche nella professione di analista e, prima ancora, nell’essere persona.

Penso di non sbagliarmi nel descrivere Ludovica come una persona schiva e intensa. Nello starle accanto, nel dialogare con lei, si può avvertire un’estensione che ricorda proprio quella di cui è dotata la musica: una coralità di contenuti di spessore e un ventaglio di tonalità che si esprimono, anche silenziosamente, in un contesto armonico.

 

Nel suo libro illustra il percorso di ricerca teorica e clinica con cui intende dimostrare che “la musica è un principio organizzativo della psiche(…) e gioca un ruolo centrale nello sviluppo delle funzioni psichiche più complesse”.

Ludovica Grassi ha iniziato a interessarsi della musica applicata all’esperienza umana attraverso l’acustemologia, campo di ricerca di Steven Feld che “unisce i termini acustica ed epistemologia, teorizzando il suono come un modo di conoscere con e attraverso l’udibile”.

 

Indagare come il suono occupi un ruolo significativo nell’esperienza di entrare in relazione con qualcosa, è un campo d’indagine che si rivela subito inusuale considerando che  la psicoanalisi è nata e si è affermata come talking cure, cura della parola. La parola, e le immagini – il vasto campo dell’onirico, le rèverie, l’immaginario, il fantasmatico – sono considerati gli strumenti principali della relazione umana, e della cura psicoanalitica. Grassi si interroga sui motivi per i quali la psicoanalisi  abbia trascurato la significatività della musica nello sviluppo delle relazioni. Forse perché, ipotizza :“il linguaggio a-semantico della musica poteva sembrare troppo vicino all’indifferenziato(…)il regno di quel sentimento oceanico che Freud negava di aver mai sperimentato”. Un linguaggio vago, fatto senza parole e privo di immagini.

 

Ma la mancanza di parole dà spazio a simboli non consumati che si esprimono in uno spazio virtuale, nel silenzio e si sviluppano nel tempo (Langer.1942)

Così Ludovica Grassi ha iniziato a ribaltare la priorità della percezione visiva e a considerare lo spazio da riconoscere al ritmo, al suono a cominciare dallo sviluppo del funzionamento della vita psichica in epoca prenatale.

Riprendendo il concetto di oggetto sonoro, identificato da Suzanne Maiello(1995-2011) – in cui “attraverso il suono della voce materna, il feto comincia a sperimentare presenza e assenza, esperienza da cui emergerà un proto-oggetto prenatale e, forse il legame primario madre-neonato”- Grassi propone l’ affascinante e convincente lettura, di una vita mentale che nasce attraverso il ritmo delle prime esperienze uditive, dalla melodia propria della prosodia materna.  Esperienze primitive, precedenti al linguaggio, esperienze sonore che attribuiscono armonia al funzionamento mentale.

Nel corso della vita prenatale la capacità uditiva si sviluppa prima di quella visiva, e diventa l’esperienza primaria per eccellenza assieme a quella diffusamente sensoriale. E’ tuttavia un’esperienza intangibile che traspare, s’intravede. Di quello che istituisce il soggetto spesso rimane una vaga, sbiadita e inafferrabile memoria poiché, nel tempo, è sovrastata da esperienze, non soltanto traumatiche, che si sovrappongono a piramide.

Il tono della propria voce e della voce dell’Altro, sin dall’inizio della nostra esistenza vibra nello psiche–soma, toccando le zone più profonde e assume, all’interno del nostro corpo, secondo Steven Feld  a cui Ludovica si ispira, “l’importanza che ha l’acqua per la terra”. Un’importanza da cui non si può prescindere.

 

Come lo stile di ogni musicista permette di identificare la sua musica, l’intonazione della voce identifica la persona e viene tramandata nel neonato attraverso la trasmissione familiare.

Questo processo mi fa venire in mente il concetto di celebrare di cui parla Bollas  nel suo ultimo libro (Forze del destino.2021) quando raccomanda l’importanza di “celebrare” quello che dell’individuo è rimasto in ombra o non ha avuto la possibilità di fare l’esperienza di essere  non potendo divenire.

 

Come la musica, definisce con forza, connota, conferisce personalità a sonorità   rappresentative  di determinati scenari (tenerezza, passione, guerra, inganno, tradimento, gelosia, ecc) il trattamento psicoanalitico dovrebbe essere “celebrativo”, nell’accezione di Bollas. di aspetti mortificati della personalità dell’individuo.

 

Dunque psicoanalisi e musica convergono e si contestualizzano nell’affascinante territorio delle origini della vita psichica. Qui, all’inizio di ogni cosa, il movimento interiore richiama quello della struttura musicale.

Esisterebbe dunque tra il funzionamento della musica e quello della psiche un certo isomorfismo. Tra musica e psicoanalisi sono presenti affinità, simili a quelle che si possono apprezzare solo nella poesia dove il ritmo, la melodia, le pause, il tono, la scelta di taluni termini, fanno la differenza.

 

Così come nella musica, nel funzionamento della vita psichica, si alternano pause e riprese, crolli e risalite, interruzioni fino allo spegnimento, in un ritmo in cui  prende forma l’assenza, la mancanza e dunque si predispone l’humus per la nascita del pensiero, della rappresentazione.

Cito Ludovica :“La funzione evolutiva del ritmo va ravvisata non solo nel fluire armonico degli scambi reciproci madre-bebè, ma nel suo intrinseco elemento di rottura, che apre spazi di assenza e suscita un’attitudine di attesa, da cui origina la rappresentazione”.

Il trattamento psicoanalitico si contestualizza in questa direzione. Nel processo analitico infatti avviene il recupero di suoni, ritmi e armonie dimenticati o  la bonifica della loro trasfigurazione nel tempo; quando questo succede l’individuo sembra ritrovarsi per la prima volta – o come la prima volta.

La psicoanalisi richiede un ascolto negativo e de-significante per permettere allo psicoanalista di contattare l’infantile sessuale del paziente e dell’analista(…)analogamente in musica sono gli intervalli, o ciò che si trova tra i suoni, a conferire un significato musicale a una sequenza o a un insieme di suoni”.