Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

Frammenti in ombra

recensione a cura di Donatella Lisciotto

Frammenti in ombra

 

Scendendo la luce si faceva sempre più intensa,  finchè, quasi all’improvviso, la luna sembrò loro materializzarsi nel buio, nitida come se la stessero fissando nel cielo piuttosto che osservare il riflesso in un piccolo specchio d’acqua nelle viscere della terra” (Frammenti in ombra, pg97)

 

Si potrebbe dire che nel suo libro “Frammenti in ombra”, Fabio Castriota  fa  psicoanalisi senza parlare di psicoanalisi. Lo stralcio riportato nell’incipit, che vede Silvia e Leo  immersi nello scenario onirico del pozzo di Santa Cristina, sembra infatti la metafora perfetta per descrivere l’impegnativo processo conoscitivo, a ritroso,  che solo quello psicoanalitico offre all’individuo per consentirgli di acquisire la capacità di vedere “nel buio”  della sua nevrosi, e avviare una trasformazione.

Nel libro il registro simbolico viene spesso declinato con un linguaggio accessibile e convincente senza  far “pesare” la derivazione psicoanalitica dell’Autore. 

Castriota racconta in maniera fluida e mai pesante, le storie dei protagonisti, Silvia, Leo, Ale, Luca e Alice le cui vite si intrecciano in un filare di colpi di scena dove la sensazione della fine e la fiducia del poter vivere oltre il dolore, oltre le perdite, o meglio, insieme al dolore, al cospetto della mancanza, diventano compagini. In “una solitudine totale (che) sembrava avvolgere il mondo”,  ecco stagliarsi due “oggetti” che hanno tutta l’aria di essere ancora una volta simbolici: Andromeda e Orlando, due imbarcazioni che sembrano costituire una sorta di pelle dei protagonisti, Leo e Ale, in grado di accogliere anche la vita degli altri o  di dar vita a gli altri.

La storia si snoda tra scenari che si evince siano cari all’Autore e situazioni in cui si muove a suo agio. Il mare, le barche, la navigazione, la passione per l’arte e la cultura, e la magistrale descrizione di mete meravigliose e suggestive; come la Sardegna, con le sue coste, le strade sterrate che si inerpicano sulla collina, la radura con “uliveti secolari e la vegetazione fitta di arbusti spinosi”. Al lettore sembra di ritrovarsi a bordo dell’Andromeda a solcare le acque cristalline che costeggiano Capo Caccia in Sardegna. Si può sentire forte quel desiderio di mare, sole e salsedine, e soprattutto quella dimensione di libertà che si è appena conservata insieme alla mise estiva.

 Dalla Sardegna l’Autore ci porta a Roma a passeggiare  nel quartiere  Prati, accanto a uno sconfortato Leo, fino a inoltrarsi  nelle “viscere della città in quella incredibile stratificazione storica che è  l’antica basilica di San Clemente”. E ancora a vedere il Gianicolo all’alba e infine “attraversando i viali umidi di Villa Borghese, con le magnolie già ingiallite, (raggiungere) la palazzina seicentesca della Galleria” con le sue opere d’arte. 

Forse per l’accurata e competente descrizione di quei luoghi o per l’effetto della lunga pausa pandemica, la nostalgia per quei posti si fa sentire con più potenza e sviluppa una persistente sensazione di appartenenza e di affezione., che continua anche dopo la lettura del libro.

Ma il libro sembra soprattutto un ritrovamento del tempo, dei tempi, delle storie che (per caso?) uniscono e disuniscono le persone, di incontri e smarrimenti, tutto tratteggiato da un pensiero poetico, delicato e mai opprimente, come dimostra questo stralcio:

L’unico rumore soffuso era quello del vento che soffiava continuamente fuori dalla prigione ; talvolta l’aria si insinuava  nell’apertura in alto, sibilando in modo costante, con certi acuti ai quali si univa uno spruzzo di neve ghiacciata che, come polvere leggera, lentamente scendeva dopo una pausa di sospensione , verso il fondo della cella”(pg 51)

 

  Ogni particolare descritto nel libro non è mai casuale, piuttosto è un rimando a circostanze che, alla fine, si compongono in una struggente e al contempo serena  nostalgia di ciò che, anche se solo per un attimo, è stato o poteva essere.

Non c’è rassegnazione passiva. Il libro è piuttosto pervaso dalla  sensazione della ineluttabilità di cadere e rialzarsi, spegnersi e riaccendersi, aldi là del palcoscenico che calchiamo, del copione  che ci viene  dato, e che accettiamo ambiguamente di recitare spesso fino alla fine dei nostri giorni. Nel racconto di Castriota esiste una possibilità che diviene tale proprio perché sfugge alla nostra responsabilità di salvare la nostra stessa esistenza o distruggerla perseguitati da mostri. Come quelli che, prognosticamente, assalgono Leo, affermato magistrato, durante il sonno rendendolo vulnerabile, o Silvia, donna intrigante e sfiorita, la cui esistenza è legata al risveglio della figlia dal coma e dalla dipendenza da un uomo del passato che pure continua ad aspettare vivendo il suo femminino in una condizione di inermità,.

Castriota sembra descrivere che esista una dimensione divincolata dalle nostre intenzioni e che procede indipendentemente da noi stessi. Una dimensione di speranza e fiducia che, nel tempo e lentamente, dispiegherà le cose – come le  vele dell’Andromeda o quelle rosse “sbiadite” dell’Orlando – in un movimento arioso e che viene rappresentato dal destino del prigioniero 3H-9201. Un uomo rinchiuso per un tempo tanto immemore da fargli dimenticare persino il suo nome, in una prigione di ghiaccio, contestualizzata nel nulla.  

3H-9021 sembra rappresentare l’individuo isolato e rinchiuso nella prigione delle sue paure, nel gelo della sua angoscia e che, ad un tratto, può perdersi, andando alla deriva, su un isolotto di ghiaccio staccatosi dalla terra ferma, come accade a 3H-9021. Ma una circostanza imprevedibile e non cercata, indipendente dalla sua volontà lo spingerà, non senza timore, ad abbandonare la sua “prigione” nonostante le sue resistenze e la paura della libertà (altra delicata sottolineatura simbolica). Il destino del prigioniero 3H-9201, come quello di molti di noi, sembra declinarsi con quello degli altri personaggi della storia, insospettabili frammenti in ombra, persi nelle loro perdite, impauriti e nascosti a sé stessi oltre che al mondo, ma che pure avranno una seconda possibilità.

 

Donatella Lisciotto