Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

L’uomo, la donna, le terze età della coppia Report sull’incontro con la dott.ssa Rossella Valdrè

Proiezione del film “45 anni” di Andrew Haigh, 2015
Chiavi di visioni
Smoke gets in your eyes

La prospettiva idealizzata dell’età moderna lascia credere che il matrimonio possa dare benessere anche in tarda età. Ma è davvero così? In passato dal matrimonio ci si aspettava solo la procreazione e poco altro. Adesso invece si crede che una coppia che resta insieme lo faccia unicamente mossa dalla purezza dei propri sentimenti. Ma una coppia che resta insieme è davvero una coppia che resta unita?

Kate e Geoff Mercer sono sposati da 45 anni. Non hanno figli, entrambi in pensione, vivono l’uno per l’altra, si completano, hanno smussato gli spigoli dei loro caratteri per poter combaciare, hanno taciuto, fino quasi a dimenticarsene, su tutti quegli argomenti che, all’interno della coppia, non trovavano spazio.

Ma, si sa, quel che esce dalla porta rientra dalla finestra, quel che è stato abolito dentro di noi ritorna da fuori. Qualcosa, ad un certo punto, viene ripescato, riemerge, riaffiora dal profondo. È il corpo di Katia, è la nostalgia per la giovinezza, è il dolore e la rabbia per una vita perduta, per un tempo andato, per un corpo decaduto.

La rabbia investe e trascina Kate, la spinge a cercare quel che fino a quel momento aveva preferito non vedere, la porta in soffitta alla ricerca di ciò che non è stato detto. La nebbia, che fino a quel momento aveva confuso il suo sguardo, finalmente si dirada. Si rende conto che perfino la canzone, che aveva accompagnato dolcemente lei e Geoff per quarantacinque lunghi anni, possedeva in realtà un significato diverso. Ripercorre la sua vita alla luce di quelle informazioni che le erano mancate. Le decisioni su dove andare in vacanza, quali libri leggere, quale cane scegliere, che musica ascoltare erano forse tutte precondizionate da ciò che non sapeva. Si accorge di come il suo nome sia così maledettamente simile a quello di qualcun altro. Trova finalmente risposta a tanti interrogativi di cui percepiva l’esistenza, ma non ne afferrava pienamente l’essenza. Tutto si spiega, finalmente, in quell’odore che lei avverte ora nitidamente nella sua casa.

Cosa fare adesso?
La giovinezza è sfiorita, la vita è trascorsa, non si hanno più le abilità che si possedevano un tempo. Sebbene lo spartito ed i tasti siano gli stessi, le note che fuoriescono dal pianoforte non ci trasmettono più le stesse emozioni di prima. Come affrontare tutto questo? La crisi in una coppia che ha già trascorso la maggior parte della loro esistenza può davvero diventare generativa?
Forse comprende che in realtà neanche Geoff è pienamente consapevole di quel che è accaduto. Anche lui è rimasto, insieme a lei, nella nebbia delle cose non dette, delle verità non rivelate.

“Vorrei poterti dire tutte le cose che sento e tutte quelle che so, ma non posso”

Nonostante la rabbia, in qualche modo, Kate rintraccia con delicatezza quella parte di sé che, sebbene ferita, resta comunque legata a lui come ad un oggetto da salvare (S. Amati Sas, 2019). Ed è forse da qui, dalla rassicurante consuetudine dei gesti quotidiani, che, permeati da una nuova consapevolezza, possono davvero ricominciare. O quantomeno provarci.

Tempi (non così) morti

La bellezza del film risiede nell’ambiguità, insita in più scene, che spacca il giudizio del pubblico in visioni che si riallacciano a significati di vita legati al vissuto individuale, con una nota estremamente proiettiva che permette agli spettatori di creare più chiavi di lettura grazie alle quali possono completare le scene lasciate insolute.

Utilizzando una di queste chiavi per aprire un’altra porta, possiamo chiederci: cosa succederebbe se, all’improvviso, si sentisse che la propria vita di coppia è stata edificata sul fallimento della potenzialità della vita precedente?

Forse, ci piace pensare all’amore come al prodotto più puro della nostra “libertà”, non come somma stringente (e struggente) di casi e necessità… O, forse, proprio all’amore chiederemmo di affrancarci dalla fragilità strutturale di quella libertà (fragilità se non altro intuita nell’inconscio), da quel paradossale “anonimato narcisistico” in cui siamo immersi, in cerca di significati ballerini tra le trame, a volte assai tragiche, del caso… In fondo, “essere amati” significa “essere scelti”, strappati, per un momento o per una vita, a delle assenze di senso… A volte quelle assenze restano fuori dai ritagli del vissuto (individuale e di coppia) e reclamano all’improvviso la loro presenza. Non convince molto una visione dell’amore come esclusione dorata di parti di sé e del mondo e dell’incontro col partner futuro come una sorta di “anno zero”… Tutto ciò che è stato escluso (e non integrato), come individui e come coppia, può tornare e avvilire il presente: nel film l’apparente (e, in una certa misura, conformistica) compattezza dei “45 anni” di matrimonio viene scheggiata da ciò che avviene in “soli” cinque giorni… quando un “tempo morto” irrompe e rende più stentati gli ingranaggi del presente. Sembra un film sull’impalpabilità del cuore dell’altro, con dialoghi scavati tra ben oleate routine, brecce d’emozioni, condense di rabbiose tenerezze.

Lo stormo delle potenzialità negate (racchiuso nel profilo vago di una giovane gravida) smuove inesauribili e indicibili nostalgie e rende meno inesorabile, perentoria e “solida” quell’unica realtà che si è realizzata… e che si vorrebbe celebrare: 45 anni di matrimonio. Il vero protagonista del film si rivela, allora, proprio il “tempo morto”, inteso sia come tempo passato, sia come tempo sospeso nel/dal lutto, sia come tempo vuoto, scarico di impegni e perciò (anche) aperto alla vitalità del pensiero (come avviene in seduta): occasione problematica, premessa (promessa?) trasformativa. Non sembra, però, che nel film si approdi a un’autentica condivisione dei “tempi morti”: ognuno vive i suoi, ognuno, oltre a ciò che è già morto, deve fare i conti con ciò che sente morire di nuovo… per poi ritrovarsi su un comune (e, a quanto pare, irrinunciabile) terreno di apparenze (magari non del tutto prive di sostanza), sulla pista da ballo di una consuetudine graffiata, per Kate, da una nuova rabbia.

Reels

Rabbia e nostalgia comunque non sono sentimenti che appartengono solo alla terza età della coppia. Il sentimento nostalgico è qualcosa che accompagna tutto l’arco della vita, perché non è davvero il tempo, il suo scorrere, la componente maggiore del rimorso, ma quel che non è stato. Questa nuova chiave di lettura ci porta dentro il mondo delle nuove generazioni.

Per un periodo di portata limitata è andato di moda un reels su Instagram.

Che cos’è un Reels?

Un video di breve durata che può spaziare su più generi: commedia, drammatico, piccoli documentari. Spesso il concetto di questi video viene ripreso da più persone. Per fare un esempio pratico, vediamo il video di un balletto che viene ripetuto ora da una persona ora da un altra, con la medesima musica, i medesimi costumi di scena, il medesimo trucco.

In questo caso ci riferiamo a un video in cui viene mostrata una singola foto che può ritrarre un soggetto, due o più, e su ognuno dei soggetti vi è una data di partenza (spesso corrispondente o alla data di nascita, o alla data dello scatto) che nel video muta, diviene più vicina.

1992.
1993.
1994.
1995.

Poi d’improvviso una delle date sui volti si ferma, mentre le altre appartenenti al restante dei soggetti raffigurati continuano a scorrere con una canzone che diviene via via più drammatica, con una nota nostalgica.
Risulta facile quindi immaginare gli altri soggetti invecchiare, mentre l’immaginazione si blocca totalmente per colui la cui data non si muove, rimane ferma, cristallizzata nel tempo.

Guardando al film trasmesso nella giornata di oggi c’è una morte che avviene per un congelamento effettivo: una donna muore in giovane età, ma lo spettatore non la conoscerà mai, perché non è lei la protagonista, non conosciamo la sua storia, o i suoi sentimenti, o chi è.

È uno dei soggetti la cui data si è fermata e che quindi diventa impossibile da immaginare.

Lo spettatore conoscerà solo il suo ragazzo che non è più tale: conoscerà un signore anziano che ha vissuto la sua vita fino a quando non viene a sapere che la sua ex ragazza è stata finalmente ritrovata, sì, ma congelata sotto una valanga di neve a distanza di ormai decenni.

Il ragazzo ora uomo si è fatto una vita, si è sposato, ha avuto un successo lavorativo, e vive serenamente gli anni con sua moglie. Moglie che accoglie la notizia di questo ritrovamento dapprima con un dispiacere sottile per il marito, ma che poi muta, diviene altro, diviene motivo di riflessione, di ossessione, subentra lentamente nella

sua mente come acqua che si infiltra in una diga fino a causarne il crollo. Il film si alterna tra momenti di musicalità intensa, ad altri in cui la musica sbiadisce in un rispecchiamento dei sentimenti di moglie e marito che paiono coartati nei confronti del futuro e furenti, vigili, potenti, verso un passato ora scoperto misterioso.

Di conseguenza l’attenzione viene totalmente distolta da quello che sarà, esempio pratico, il festeggiamento dell’anniversario imminente, ma si sposta su quello che è stato e che non è mai potuto essere.
Sul rimorso di un vissuto che la coppia ha voluto e che adesso porta le conseguenze.

Vengono a galla nuove informazioni: la promessa di un matrimonio, il concepimento di un figlio, la sua attesa. Un’attesa, una promessa che rimangono appesi in un tempo congelato. Il corpo della ex fidanzata non viene mai visto, ma viene immaginato dall’uomo come congelato, come lo stesso volto che ha amato tanti anni prima. La data sul volto della donna è rimasta la stessa, come nei Reels Instagram non è cambiata.

L’immaginazione è il motore del film. Le aspettative disattese, le possibilità troncate, i sentimenti di inferiorità, fanno da cornice a una trama di base debole, un’accezione di debole che comunque non è negativa, perché non è il racconto che ci serve in questo film. Ma un’esplorazione della mente nella terza età, a tirare le somme della propria vita, un guardarsi al passato e vedere cosa è stato, a cosa abbiamo rinunciato, a un amore ormai andato.

La giovinezza diviene un libro incompiuto con un finale aperto, con tante cose che non si sapranno mai e quel non sapere diviene una condanna, se non incontra una risoluzione. Ma alla fine del film i due pare abbiano capito che, magari, il finale che hanno effettivamente scritto è valso quanto gli altri possibili finali, cullandosi in ciò che sanno, amando ciò che hanno.

Ogni chiave creata è unica, mai identica a nessun’altra. Ci sono però chiavi simili, tanto che a una prima occhiata potrebbero confondersi. Ce ne sono altre invece che sono diverse tanto da poter essere distinte sia alla vista che al tatto, opposte, contrapposte. Ma in psicanalisi (o, meglio, in noi!) gli opposti convivono, che si tratti di una persona, una passione o un’ossessione.

 

Luci e Ombre

 

Prendiamo adesso in considerazione un’altra chiave totalmente differente da quella che abbiamo appena visto.
Una che può influenzarci, aprirci altre porte e portarci a pensare che:

“Non sarebbe possibile una resurrezione senza morte”

Ci sono fasi della nostra vita che ci portano verso sentieri tortuosi, oscuri, che ci chiedono di stare a testa in giù come i pipistrelli, che ci mettono in contatto con la nostra ombra, la nigredo che vive dentro di noi e solo dirigendoci verso di lei possiamo conoscerci a fondo e renderla una cosa sola con la luce della nostra consapevolezza.

Gesù affronta Satana nel deserto per potersi riconoscere quale Dio.

Il Siddhartha di Hesse conduce una vita di ineluttabile ricerca di sé e di perdita prima di giungere ad essere tutt’uno col mondo.
Santiago, protagonista de “L’alchimista” di Coelho, affronta un lungo peregrinare per trovare la sua leggenda personale esattamente nel posto da cui è partito.

Ulisse è protagonista di numerosissime peripezie, prima di scoprire che il suo destino è compiere l’ultima.

La via per la luce è buia, ma l’uomo ha paura del buio, come se non sapesse che un oggetto in ombra conserva il suo colore.

A volte il buio che troviamo nella nostra stanza, (nella nostra sfera individuale) è così terrificante che invece di affrontarlo per trovare l’interruttore, scappiamo fuori e lo lasciamo chiuso nella stanza, lo congeliamo pensando di non aver bisogno di tornare lì dentro perché siamo così onnipotenti da edificare altre stanze.

Il rischio è che a un certo punto, come i protagonisti del film ci accorgiamo che abbiamo riempito la nuova stanza di pezzetti di ombre passate, assopite, congelate, ritornate dall’Aiòn, dal tempo circolare dell’eterno ritorno.
Ritornano i morti congelati, bambini mai nati che hanno semplicemente negato la possibilità di una nuova generatività non solo di altra vita, ma anche di un maschile maturo che è padre e non ha più bisogno di una madre come sposa.

Ritorna la morte di una madre alla quale la sposa si sostituisce divenendo inconsapevolmente complice della “non generatività” del marito che potrà rimanere sempre suo figlio, dipendente dal suo affetto, come lei potrà dipendere da lui.

Non si spegne mai la voce della nostra anima che ci ricorda chi siamo, che possiamo essere individui.
Lei si ricorda del suo pianoforte, della musica libera di esprimere il suo essere.
Lui ricorda che gli piaceva osservare il volo degli uccelli: così liberi di essere se stessi. È forse proprio da questa libertà che si può partire per ritrovare la propria luce, così calda da sciogliere quel “non detto” ghiacciato, rimasto statico nel tempo circolare? È forse tornando nella vecchia soffitta buia e ripercorrendola insieme che si può finalmente trovare l’interruttore della consapevolezza terapeutica?

Non sappiamo cosa avranno scelto i protagonisti, di sicuro ci hanno fornito un bel po’ di buio da illuminare e tante porte da aprire.

Quante fotografie possiamo sviluppare?
Quante prospettive possiamo avere?
Quante proiezioni?

Quante chiavi?

Camera Oscura

Cardia Claudia
Irrera Maria Rosa
La Rosa Mirella
Scopelliti Chiara