Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

Famiglia e Famiglie tra disuguaglianza e parità

Incontro con la prof.ssa Mariaenza La Torre – Consigliera di Cassazione

 

“La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società ed ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”

     È così che l’Art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani descrive la famiglia. Questa definizione si specifica poi nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (art. 33, 8 e 9) e nella Costituzione Italiana (Art.29). L’argomento viene inoltre ripreso sia dal codice civile che dal codice penale, i quali, nel corso degli anni, per essere conformi alle normative di ordine superiore, hanno subito numerose modifiche. In particolare, negli ultimi 12 anni sono state modificate ben 42 leggi inerenti la famiglia e questi cambiamenti rispecchiano quelli compiuti dalla società.

     Anticamente, infatti, la famiglia era di tipo patriarcale e ciò si rifletteva nell’articolo 144 del codice civile, in vigore fino al 1945, secondo il quale: “il marito è il capo della famiglia; la moglie ne segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo ovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”. Un’altra testimonianza la si può trovare nel codice penale del 1930 (art. 559 e 560), a seguito del quale veniva punito esclusivamente l’adulterio commesso dalla moglie e non quello compiuto dal marito.

     Questi articoli sono stati aboliti nel 1967 poiché ritenuti non più conformi alla Costituzione.

     Le Sezioni Unite sono state molto attive nel processo di adeguamento delle norme ai cambiamenti della famiglia all’interno della società odierna, in cui ormai convivono diverse tipologie di famiglia (nucleare, allargata, omosessuale e monogenitoriale). Tra i vari cambiamenti effettuati, i più recenti riguardano la regolamentazione dell’unione civile, che viene così tutelata dal punto di vista dell’assistenza morale e familiare. Restano però ancora in secondo piano gli aspetti legati alla fedeltà e quelli economici, garantiti esclusivamente all’interno del matrimonio.

     Per quanto riguarda invece la tutela della prole, il principio guida è stato individuato in quel che in inglese viene definito “the best interest of the child”, ovvero la centralità dei diritti e del benessere del minore. In quest’ottica è nata la legge che dichiara l’unicità di stato giuridico dei figli, seguita inoltre dalla possibilità di scelta sull’acquisizione del cognome materno piuttosto che paterno. A questi, in seguito, si è aggiunta la legge sull’affido condiviso, che mira a suddividere in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza del figlio presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi e tutelando quindi la relazione genitoriale con i figli. Si è inoltre passati dal concetto di potestà a quello di responsabilità genitoriale, ovvero la capacità del genitore di provvedere al benessere dei figli.

     Un altro importante cambiamento riguarda l’introduzione dell’ascolto del minore in caso di separazione o di sospetto di abuso, svolto con la collaborazione di figure specializzate come gli psicologi e definito mediante regolamentazioni ben precise.

     Inoltre, è stato introdotto il concetto di danno endofamiliare, cioè la possibilità dei figli di chiedere un risarcimento al genitore ritenuto inadempiente nei confronti delle sue responsabilità genitoriali. A tal proposito, fa riflettere il fatto che il danno in questione dev’essere risarcito in termini di denaro, ma questo è un altro argomento.

     Viene anche istituita una nuova figura, quella del genitore d’intenzione, ovvero quel soggetto che, pur non essendo genitore biologico, ha il proposito di instaurare col minore un rapporto di tipo familiare.

     Alla luce di tutte le informazioni ottenute mediante questo excursus sui recenti progressi riguardanti la famiglia e la genitorialità compiuti in ambito legislativo, viene da pensare che determinati cambiamenti sembrano necessari affinché sia mantenuta una certa aderenza tra queste regolamentazioni e la realtà. Oggigiorno, infatti, il concetto di famiglia tradizionale sembra ormai polveroso ed obsoleto. I progressi della scienza, ma anche quelli della società, hanno assistito alla fioritura di nuove tipologie di famiglie che hanno tutto il diritto di essere riconosciute e tutelate dallo Stato. La normativa vigente pare ben integrata con lo sviluppo sociale, sembra dare maggiore spazio all’uguaglianza tra i sessi, promuovendo così un’idea di coppia alla pari dove entrambi i componenti (che siano di sesso diverso o uguale) abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri, ma soprattutto centrando l’importanza degli interessi dei figli come elemento preminente da tenere in considerazione.

     Sembrerebbe tutto molto ben fatto se ci fosse solo da valutare l’aspetto teorico, ma bisogna considerare che questo si scontra sempre con l’aspetto umano, col “pratico”, all’interno del quale si mescola la ragion pura con il pregiudizio, con le interpretazioni, con le emozioni ed i vissuti soggettivi e quindi con l’imprescindibile elemento umano.

     Le notizie di cronaca, infatti, rivelano che, negli ultimi anni, la Corte Europea dei Diritti Umani ha più volte condannato lo Stato italiano per mancata tutela delle vittime di violenza sia domestica che di genere.

     Nel marzo del 2017, ad esempio, nel caso Talpis contro Italia, lo Stato viene ritenuto responsabile di violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani e degradanti, nonché del divieto di discriminazione. Nello specifico: le autorità italiane non sono intervenute per proteggere una donna e i suoi figli vittime di violenza domestica perpetrata da parte del marito, avallando, di fatto, tali condotte violente, protrattesi fino al tentato omicidio della donna ed all’omicidio di uno dei figli, intervenuto per difendere la madre.

Successivamente, con la sentenza del 7 aprile 2022, la Corte Europea dei Diritti Umani, pur dando atto dei progressi normativi compiuti dall’Italia nel contrasto al fenomeno della violenza domestica, si è pronunciata nel caso Landi contro Italia, condannandola, ai sensi dell’art. 2 CEDU (diritto alla vita), per la mancata adozione da parte dell’autorità giudiziaria di misure di protezione idonee a scongiurare le condotte di aggressione fisica e verbale perpetrate dal partner ai danni della compagna. Dal 2015 al 2018, infatti, la signora Landi si era recata alla polizia ben quattro volte, con l’intento di sporgere denuncia in seguito alle violente aggressioni da parte del compagno. Sebbene la vittima avesse presentato diverse denunce penali, queste non erano state prese in seria considerazione dall’autorità giudiziaria, causando, in questo modo, un ritardo nell’avvio del procedimento per violenza domestica. In conseguenza di ciò, l’ultima aggressione da parte del partner si concluse con il tentato omicidio della signora Landi e la morte per accoltellamento del figlio minore della coppia. Come già verificatosi anche nel caso precedente, la signora Landi invocava inoltre la violazione dell’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, letto in congiunzione all’art. 2, sostenendo che la mancanza di protezione legislativa e di una adeguata risposta alle sue denunce da parte delle autorità costituivano un trattamento discriminatorio fondato sul sesso.

     A questi due casi potrebbero aggiungersene altri, come quello del 16 luglio 2022, De Giorgi contro Italia.

     Quel che pare tristemente evidente dalla realtà dei fatti è che, nonostante più donne riescano a trovare il coraggio di denunciare le aggressioni subite, spesso nulla viene fatto in loro difesa: lo Stato si dimostra inerte di fronte al loro grido di aiuto, sebbene basterebbero anche semplici provvedimenti, come quelli attuati dal tribunale di Bologna, quali ad esempio dell’utilizzo del braccialetto elettronico.

     L’unica speranza per poter cambiare veramente le cose potrebbe essere l’adozione di un approccio multidisciplinare incentrato sul dialogo funzionale, maggiormente critico e scevro dal pregiudizio, dove i protagonisti non siano solo persone con diverse competenze, ma anche di diverse generazioni, che possano allargare i fatti valutandoli nella loro complessità, a tutto tondo. È fondamentale, inoltre, che le figure dialoganti, siano essi magistrati, psicologi o altre figure professionali, possano avere un’adeguata formazione specifica, che consenta finalmente di affrancarsi dalla presenza degli stereotipi relativi a vecchi retaggi culturali e a vissuti soggettivi, i quali continuano ad operare inevitabilmente nel nostro inconscio. Purtroppo, nessuno è indenne da pregiudizio, neppure gli addetti ai lavori.

 

“Non si può immaginare che difetti e storture che vengono dal
passato possano ritenersi superati se non c’è un avanzamento
culturale e se le istituzioni non seguono, anzi non promuovono,
l’avanzamento della cultura e del costume”

Valerio Onida

Claudia Cardia

Chiara Scopelliti