Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano
“Tra la vita e la morte. La psicoanalisi scomoda” di Cristiana Cimino
Cristiana Cimino, psichiatra e psicoanalista di formazione freudiana e lacaniana, è membro della Società Psicoanalitica Italiana; è stata coeditor dell’European Journal of Psychoanalysis e attualmente è membro dell’Editorial Board della rivista Vestigia. Ha scritto molti articoli su riviste specializzate e generaliste, sia italiane che straniere. Nel 2020 pubblica “Tra la vita e la morte. La psicoanalisi scomoda”. Il libro nasce dalla ripresa del pensiero freudiano, ha come tema la morte e il negativo, in tutte le sue declinazioni: dalla caducità della vita, all’inestinguibile distruttività degli esseri umani, alla tendenza a ripetere un copione sintomatico o all’infrangersi della cura contro la roccia basilare, al rapporto alla castrazione e al femminile.
Per l’autrice la psicoanalisi deve riprendere la riflessione su sé stessa e sul mondo che la circonda proprio a partire da questi nodi, controversi anche per lo stesso Freud e attualissimi. Solo in tal modo gli psicoanalisti potrebbero dare un contributo anche politico agli accadimenti del proprio tempo, dentro e fuori la stanza d’analisi.
I 3 punti principali su cui si concentra sono:
1) La Morte e il rapporto che Freud ha con essa;
2) La Ricerca dell’oggetto originario;
3) La Femminilità.
Il tema della morte rimane come un punto cieco per tutti noi, un punto temuto, in qualche modo non pensabile, ma anche la caducità della vita, intesa come lo sfiorire della gioventù, la stupidità, la tendenza umana a ripetere gli stessi errori (le stesse modalità, gli stessi schemi di ritornare sempre sul trauma nell’illusione di conoscerlo), la negazione come impossibilità di accedere alla vita psichica, ma del bisogno che attraverso quest’ultima i contenuti in qualche modo emergano.
La pulsione di morte intesa in senso freudiano, come il desiderio spasmodico di ritornare ad uno stato iniziale, inorganico, di quiete, di staticità, di inerzia.
Contrapposta alla pulsione di morte o Thanatos, Freud teorizza l’esistenza della pulsione di vita o Eros di cui fanno parte non solo le pulsioni sessuali, ma anche quelle di autoconservazione.
La distruttività facente parte della pulsione di morte sottolinea ed evidenzia la palese ambivalenza delle due pulsioni. Queste risultano intrecciate, ma non unite. Esiste sempre il dominio di una sull’altra come nell’autoconservazione che, nonostante essa sia prevalentemente dominata dalla pulsione erotica per raggiungere lo scopo prefissato, attinge ad una parte della forza distruttiva di Thanatos, ossia l’aggressività.
Freud nel “Disagio della civiltà” sostiene che l’aggressività fa parte del corredo pulsionale dell’uomo, può manifestarsi o spontaneamente o in risposta a qualcosa.
La pulsione di morte è l’ostacolo all’incivilimento umano.
Se in un primo momento afferma che l’istituzione è l’unica ad avere la capacità di tenere a bada l’aggressività, successivamente ritiene che nonostante i suoi sforzi essa non sia in grado di assorbire tutte le istanze di Thanatos.
L’unica civiltà possibile secondo Freud è quella in cui Eros prevale sul Thanatos.
La vita psichica appare dunque caratterizzata da questo perenne scontro tra le due pulsioni, che si concluderebbe con la vittoria di Thanatos su Eros.
È infatti già nei primi testi di Freud che l’autrice individua gli elementi che segnalano la presenza di quell’irriducibile resto che contrassegna, e forse costituisce, l’essenza dello psichismo umano.
La vita umana, infatti, appare caratterizzata da una incessante ambivalenza: aspiriamo ad essere uno ma allo stesso tempo siamo contenti di essere due.
Cristiana Cimino afferma che noi esseri umani siamo costantemente alla ricerca di un oggetto perduto, cioè cerchiamo sempre un altro/a in quanto unità duale.
Questo richiama il famoso dilemma del porcospino ripreso da Freud, evidenziando la tendenza degli esseri umani ad aggregarsi per proteggersi a cui inevitabilmente segue la necessità di separarsi a causa del dolore provocato dagli aculei, dalla troppa vicinanza.
“Due porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati.
Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro.
Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore.
Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.”
(A.Schopenhauer)
Il tema del femminile viene introdotto come istanza che conosce e accetta la mancanza dell’oggetto.
La mancanza apre ad una nuova visione del mondo, affinché ciò accada essa deve essere accettata, di certo non senza passare da una fase depressiva. L’introduzione del concetto della femminilità pone le basi per assertività e resistenza.
Il concetto di Femminilità a sua volta, si ricollega al concetto di “Fallo”.
Quest’ultimo non fa riferimento ad un genitale, bensì a qualcosa di più, precisamente ad una “fantasia” che il soggetto si immagina. Esso è inteso come eternità, potenza, invincibilità.
Il femminile non è più visto come castrazione, ma come accettazione di una mancanza che non distrugge, ma rinforza.
Siamo esseri sottomessi all’ordine fallico in quanto esseri parlanti. Se il femminile è simbolo di mancanza, il fallo è promessa di eternità e potere, in un certo senso la negazione della mancanza.
Questo spiega perché è più facile accettare l’ordine fallico. Il femminile si configura come apertura a ciò che non è conosciuto, da qui l’idea secondo Cimino che la salvezza vada ricercata lungo la via del femminile.
Nella stanza d’analisi il compito del terapeuta è quello di saper individuare lungo la strada di Thanatos (la ripetizione degli stessi errori, “coazione a ripetere”), le tracce di Eros.
Con “coazione a ripetere”, intendiamo quella tendenza incoercibile, del tutto inconscia a porsi in situazioni dolorose o penose, senza rendersi conto di averle determinate attivamente, né del fatto che si tratta della ripetizione di esperienze vecchie e passate.
Bisogna dare importanza a ciò, poiché è proprio grazie ad essa qualcosa inizia a scostarsi. La nostra mente si fonda su cosiddette Identificazioni, le quali rappresentano quel processo attraverso cui un individuo costituisce la propria personalità assimilando uno o più tratti di un altro individuo e modellandosi su di essi.
La coazione a ripetere funziona in modo tale da far ripetere al soggetto sempre le stesse esperienze; ad un certo punto, però, cambia qualcosa, se ne viene a capo perché ci sono dei piccoli segnali che cambiano le situazioni, questo è definito Eros.
Freud è fiducioso nel cambiamento: l’Eros è cercare il “non scontato” nello “scontato”, cercare piccole modifiche negli stessi contesti, e trovarli, già da speranza.
Freud diceva che “l’inconscio è la cosa, il conscio è la parola”, la cosa sarebbe il desiderio, la pulsione, che ha bisogno di nuovi simboli e significati.
Bisogna dunque, saper cogliere la diversità nell’identità. Cercare la cosa dietro la parola è come ricercare Eros. Le parole non possono dire tutto, hanno un limite, ma questa è la vera risorsa, lì c’è il femminile, nell’oltre struttura, la quale va oltre le coordinate della struttura, che sono generali, universali, uguali per tutti.
Essa viene definita come ‘Terra di nessuno’, dove le cose non hanno ancora nome.
Ciò si riferisce a quel che Lacan chiama “Reale”, cioè ciò con cui è difficile avere a che fare, il cosiddetto “sommo bene”. Proprio per tale motivo definita come ‘Terra in cui si trovano le Risorse’. In realtà siamo tutti sottomessi all’ordine fallico, ciò perché siamo tutti ‘Esseri parlanti’. Questo è il punto essenziale di Lacan.
La singolarità è il luogo del femminile per eccellenza, la donna deve diventare donna, si deve costruire, mentre gli uomini tendono ad essere più standardizzati. L’Edipo non è simmetrico in entrambi i sessi, per entrambi la relazione che si instaura tra madre e figlio (al di là del fatto se sia maschietto o femminuccia) è unica ed irripetibile, è un amore unico quello che prova il figlio verso la madre, in quanto per lui o lei è il primo oggetto d’amore, che riempie tutto. Dopo che questi bambini crescono, si dirigono verso l’esterno, alla ricerca di altri stimoli, si potrebbero protendere, ad esempio, verso il padre, verso i pari, etc, ed andare a cercare quello di cui hanno bisogno.
Nella donna questa via è più tortuosa. Purtroppo, gli studi di Freud non hanno approfondito molto questa tematica. Egli sostiene che essere donna è essere madre.
Lacan riprende il pensiero di Freud, ma afferma che la donna non manca di nulla, è più aperta. Questo si connota in maniera positiva ma anche negativa, si veda la capacità delle donne di fare le cose più disparate, compreso mettersi in situazioni difficili.
Freud pensava che la vera pulsione fosse Thanatos, l’epitome del piacere, la quiete, il sommo bene. L’ oggetto che non è mai trovabile, si può trovare, ma lì c’è la morte. Tuttavia, Eros c’è ed è presente, vuole morire alla propria maniera, attraverso percorsi tortuosi.
Quando l’analisi può terminare? Lacan parlava di “attraversamento del fantasma”, quando ciò avviene l’analisi può dirsi conclusa. Forse, afferma Cimino, i fantasmi non si possono eliminare, ma si può imparare a combatterli e a non sottomettersi a loro. In quest’ottica la salute mentale è la lotta ai propri fantasmi.
L’analisi serve proprio per monitorare questi fenomeni, controllarli e controllarsi. Non c’è la pretesa di eliminare i propri “fantasmi”, ma di conviverci in una maniera più funzionale possibile, essi possono essere depotenziati.
L’analisi potrebbe finire quando il soggetto smetterà di identificarsi con le sue angosce in maniera totalitaria, cristallizzata, cronica e rigida. Una volta abbandonate l’idealizzazione e le fantasie di essere qualcuno che non si è, si potrà vivere meglio, si potranno accettare le perdite e le mancanze.
L’obbiettivo del paziente in analisi è combattere con la parte disturbante e cercare di non farsi influenzare.
La capacità della psicanalisi è quella di sostenere il dolore, di metabolizzarlo e di elaborarlo in modo tale da poter essere digerito dal paziente in maniera corretta ed adeguata.
Si deve riuscire a sopportare la sofferenza, perché, come diceva Freud, la vita è costellata di cose brutte, disgrazie e sciagure, ma noi dobbiamo avere la capacità di accettarle ed andare avanti.
Bisogna riuscire ad accettare le alternative che la vita ci propone al posto di quello che desideriamo veramente o che abbiamo perso e che non possiamo più recuperare.
Parafrasando ancora una volta l’autrice, potremmo dire che non basta affrontare il lutto, ma dovremmo accettare di “patire la nostalgia” perché è appunto in questa oscillazione (che ci abita e in cui abitiamo) che si apre lo spazio ove possano edificarsi nuove e più evolute forme di soggettività.
Quando si finisce l’analisi, si affronta una fase depressiva, che non è negativa perché comporta l’accettazione dei cambiamenti, come cambiare lavoro, affrontare un divorzio, cambiare stile di vita, etc. L’elaborazione del lutto ci aiuta ad affrontare la realtà ed uscirne più forti e consapevoli di prima. In ogni incontro analitico si ripete lo scontro tra Eros e Thanatos per ristabilire un equilibrio attraverso un lavoro fatto di associazioni libere che fa stare scomodo sia il paziente che l’analista, ma può essere anche rivitalizzante per entrambi nonostante le incertezze che si insinuano nella stanza analitica. Il paziente deve stare scomodo ed entrare in conflitto, il che non deve essere visto come un problema, bensì come la chiave per rompere il circolo vizioso di Thanatos.
Il problema non è il conflitto, ma come si esce dal conflitto.
Considerazioni personali: “il tempo che passa” le parole di Cristina Cimino, mentre raccontava il suo libro durante il seminario di giorno 17 aprile, mi sono entrate dentro, e sono rimaste ferme lì per poi crescere durante tutto l’arco del seminario.
Tempo. Ed inesorabilmente il pensiero si scontra immediatamente con il concetto di morte, che proprio come dice la Cimino, non è solamente fisica.
Ma ci riferiamo a quella morte che sentiamo tutte le volte che andiamo noi stessi a creare ripetutamente le situazioni dolorose di cui non riusciamo a liberarci, di cui non riusciamo a fare a meno, così come la vita non può fare a meno della morte.
Noi abbiamo bisogno del nostro sintomo, ed è così che ripetiamo sempre lo stesso copione, per utilizzare le parole dell’autrice, perché il nostro sintomo ci serve per andare avanti. Togliere ad un paziente un sintomo sarebbe deleterio, soffrirebbe troppo e subito inutilmente.
Ci troviamo di fronte ad una pulsione di morte sì, ma come dice Cristiana Cimino, siamo di fronte ad una pulsione di vita, quella pulsione che si oppone alla morte, alla distruzione e che dà la possibilità di guardare alla guarigione. La pulsione di vita e la pulsione di morte, che sono due funzioni contrapposte tra loro, dove da una parte abbiamo l’esigenza di mantenere il sintomo così come non possiamo redimerci dalla morte e dall’altra vita, la voglia di liberarci dai demoni che viene a crearsi con la pulsione di vita.
La Cimino afferma che siamo costantemente alla ricerca di un oggetto perduto, così l’essere umano appare alla costante ricerca del nuovo, un’esigenza che ci spinge a cercare il cambiamento altrimenti senza questo, ci arrestiamo, e qui troviamo la morte.
Per poter guarire bisogna cambiare, e l’analisi potrebbe terminare quando il paziente ha capito quanto possa essere importante il cambiamento. Quest’ultimo avviene improvvisamente, c’è una scintilla che tutto ad un tratto lo fa scattare.
Un tema che affronta l’autrice è quello del negativo, delle perdite, delle mancanze.
Essere quello che non siamo ci fa ammalare, la costante ricerca di identificarci con quello che vorremmo essere ci pone di fronte ad una vera nevrosi, ed è qui che possiamo concludere l’analisi: solo quando capiamo che identificarci con gli altri ci fa perdere la nostra unicità, comprendiamo la motivazione per cui ci siamo ammalati.
Clara Carmeni
Marzia Blanco
Miriana Raineri
Aurora Iemma
Federica Tindara Armeli Moccia
Sebastiano Bellomo
Francesca Miduri
Katia Cordiano