Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

Recensione di Dalla pandemia alla guerra. Appunti. di Donatella Lisciotto, Edizioni Bette, Padova, 2022.

Cristiana Cimino

Non è il caso di lasciarsi ingannare dal formato di questo libretto perché, in poche pagine di scrittura scorrevole e persino accattivante, l’Autrice affronta un bel po’ di temi scottanti in materia di inconscio del singolo e della collettività e non solo. A partire dai due avvenimenti cospicui della nostra attualità, ossia la pandemia da Covid Sars 19 e la guerra in Ucraina (che coinvolge ormai tutto il mondo per molti motivi), questi Appunti si avventurano in acque per niente tranquille. Si lasciano andare un po’ alla deriva, sfiorano (o urtano) una riva per proseguire il percorso, soffermarsi presso un’altra e via così. Come per le barche la deriva (detta anche chiglia se è fissa) è proprio quell’attrezzo che pur lasciando che le barche possano andare, appunto, alla deriva, fa in modo che questa deriva non ecceda rischiando che l’imbarcazione si perda del tutto. E’ una sorta di ancoraggio blando e necessario. L’Autrice ci comunica di procedere per libere associazioni, lasciandosi derivare, potremmo dire. Mi sembra che il flusso di “libero” pensiero che incontriamo in questo libro sia la capacità di frequentare una posizione profonda di apertura a ciò che si prospetta, di stabilire un contatto con l’oggetto in cui si imbatte ancora prima di dargli un nome. Come una superficie porosa, direbbe Fachinelli, la soggettività dell’Autrice si lascia penetrare da quello che incontra, ossia il flusso del proprio “libero” pensiero senza perdere l’ancoraggio logico (la chiglia o deriva per la barca) che rende riconoscibile il suo apparato intellettuale di riferimento.

 Lisciotto, che frequenta le frontiere, i “margini”, si sofferma su alcuni lati psichicamente scabrosi del contagio, per esempio il sentirsi sporchi, “unti e untori”, la vergogna e la colpa per essere tali, che affonda le proprie radici non solo nella religione cattolica che tende a leggere gli eventi nefasti come espiazioni meritate, ma in quel “fondo fondo (Amati Sas)” che riguarda tutti, fatto di aspetti indicibili, insostenibili, abitualmente tenuti a bada ma sempre pronti a spuntare fuori. In termini lacaniani si direbbe di reale. Quello che ci rende tutti “solamente degli uomini (Henry-Levy)”, radicati nella “marginalità”, come l’Autrice la chiama, la nuda vita che ci accomuna tutti. Non ha timore di cercarla in se stessa attraverso i propri sogni, pescando, per esempio, una sorta di spinta cieca alla tutela di sé (lavoro di Eros?) che la sorprende quando si traduce nell’ambivalenza rispetto al familiare contagiato. “I familiari negativi camminano con il familiare positivo (disposizione Asp)” ma non è detto che l’inconscio sia del tutto d’accordo. Un altro sogno sembra segnalare che il panopticon di benthamiana (e anche foucaultiana) memoria, che già lavora “in forme sofisticate quanto subdole”, sia “diventato pandemico” segnalando ulteriormente la condizione di “nudità psichica” intollerabile a cui il virus ci espone. E poi ci sono i pazienti, i “malati” che in condizioni difficili per non dire estreme talvolta se la cavano meglio dei “normali” (“nevrotici”, magari curati, rettificherei), come Anna che lucidamente esclama che “Putin è uno zar!” e non un pazzo, come spesso sentiamo dire o diciamo. Il pazzo, il mostro: tutte forme che placano l’angoscia, perché gli umani sono tutti fatti della stessa materia. I “malati” sono più attrezzati per l’estremo, per “invasioni e tumulti”, perché li frequentano in loro stessi.

Il disagio della civiltà si amplifica prima con la pandemia e poi con la guerra, sembra dire Lisciotto. “Dalle FFp2 e FFp3 agli F16”, da una minaccia estrema a un’altra, proprio la morte, rispetto a cui l’essere umano risponde prevalentemente con la negazione, freudianamente parlando, e con il supporto di meccanismi di scissione tra “buono e cattivo, bene e male”, che “devono stare da una parte o dall’altra. Separati.” Meccanismi ubiquitari che evitano di “perdere la testa”, presenti da sempre e che, adesso, spiegherebbero le prese di posizione dogmatiche e gli schieramenti (mezzi di informazione compresi) che, evidentemente, possono ribaltarsi da un momento all’altro: il risultato paradossale è una “l’ambiguità (Amati-Sas)” che minerebbe la stessa capacità di pensiero.

“Perché la guerra? (Freud in risposta ad Einstein, 1933).” Perché serve a incanalare la pulsione distruttiva, Thanatos che “spinge da dentro” e trova una strada. Una strada socialmente lecita, aggiungerei, per il resto inassimilabile che mina la stessa civiltà che Freud considerava nient’altro che l’auspicato prevalere di Eros sulla pulsione di morte. Lecita e quindi legittimata a trasformare un uomo comune in un assassino per la patria, secondo il lucido disincanto freudiano.

Dopo “l’urto” della pandemia, quello della guerra. “I fatti di guerra” i racconti, le immagini, la mancanza o la minaccia che comuni beni che diamo per scontati vengano meno, chiedono, secondo l’Autrice, che un danno narcisistico sia recuperato e (anche) per questo in molti si danno da fare, compresa Lisciotto, impegnata nel progetto PER (Psicoanalisti Europei per i Rifugiati). Aiutare aiuta, insomma.

Lo sguardo dell’Autrice di questo piccolo libro è uno sguardo commosso, caritatevole nel senso etimologico, e anche di affaticata speranza. Ed è uno sguardo necessario perché, oltre l’angoscia che segnala il piano psichico estremo che gli attuali avvenimenti riescono a sollecitare (con il rischio, della distruttività, della ripetizione, del lavoro di Thantos, insomma), proprio perché estremi sono gli avvenimenti, ci si dovrà pure attrezzare per “il risveglio”. L’indicazione dell’Autrice sembra quella di resistere alla tentazione di arroccarsi nelle difese, e invece “prendersi cura del dolore”, condividerlo il più possibile cercando le parole. Prendersi cura, direi, di ciò che di animale (nel senso derridiano) c’è in ognuno di noi.