Centro Psicoanalitico dello Stretto Francesco Siracusano

Giornata del libro sullo stretto 14/10/23

Report realizzato dalle studentesse Chiara Frisone e Francesca Santacaterina
Corso di laurea L-24 scienze e tecniche psicologiche, terzo anno

La giornata ha visto diversi autori dialogare e spaziare su vari temi molto attuali, definendo i confini di un incontro profondamente segnato dalla visione psicoanalitica ed allo stesso tempo ampiamente aperto allo scambio di idee. 
Dopo la presentazione iniziale il presidente Sarantis Thanoupulos ha evidenziato l’importanza dell’esperienza del corpo e della pulsionalità che caratterizzano la persistenza dell’esistenza, e di come nessuna parola è significante se si separa dal suo significato pulsionale. Ciò ha valore nell’attività psicanalitica, a questo proposito Introduce il concetto dello specchio winnicottiano , di come la madre funga da specchio per il bambino; e poi ancora lo specchio di Lacan in cui il linguaggio rappresenta l’elemento unificatore, ed è proprio tra lo specchio di Winnicott e quello di Lacan che si dispiega il sogno, in cui ognuno di noi libera la sua immaginazione.
Viene presentato e discusso il libro di Alfredo Lombardozzi ‘’Culture di Gruppo’’. Qui si pensa a come sia legittimo affiancare alle tradizionali dimensioni analitiche ( mito, senso, passione) quella della cultura, come caratteristica fondante dell’individuo, e come questa sia implicata nel mondo interno del singolo e nel lavoro gruppale. Considerando anche gli sviluppi sociali e politici di questo momento storico, sembra utile e attuale poter ragionare su quello che accade in una dinamica di lavoro psicoanalitico di gruppo in ambito di migrazione, sia questo formato da diretti interessati sia da operatori che se ne occupano. Ci si chiede ad esempio come sarà un contro-transfert in un gruppo formato da extracomunitari, che hanno alle spalle una cultura radicalmente differente da quella dell’analista. È necessario quindi uno spazio atto al legame inter-psichico, in cui possa esprimersi la differenza interculturale, rendendo fluidi i confini identitari. Poiché non ci si può trovare solo all’interno della propria mente , ma in una situazione gruppale vi è necessità di portare la psiche in un altrove, tramite rituali che vanno dalla traduzione delle semplici parole fino alla traduzione emotiva stessa. Sorge anche l’interrogativo sulle istituzioni, se queste aiutano davvero i processi inclusivi e i percorsi di cura, o se siano agenti che svuotano gli affetti dal pathos che li contraddistingue; rimane pur vero che le istituzioni espletano funzioni che da solo il singolo non sarebbe capace di portare a termine in un mondo dove ogni giorno si cerca di ‘’destreggiarsi nella destabilizzazione’’. Sorge poi una questione che personalmente ho trovato interessante e di forte pregnanza culturale al giorno d’oggi, ovvero la questione delle identità di genere fluide. Assumendo che la libertà di espressione e di autodeterminazione del singolo sia una libertà intoccabile e legittima, ci si domanda quanto questa questione sia collegata all’identità in generale e al rapporto tra individuo e collettività, quanto abbia a che fare con la costruzione del senso dell’individuo nella comunità. Viene accennato il concetto di Antropoiesis, un tipo di umanità che si vuole autorappresentare, ma che porta con sé il rischio di un furore antropoietico, in quanto non possiamo essere totalmente autodeterminati, ma serve l’altro per il desiderio, serve essere anche eterodeterminati, in quanto le relazioni e le identità non si possono costruire senza differenze. La forte tendenza a definirsi con un’identità non binaria, per quanto sia una questione delicata e spinosa, rivelerebbe forse la ricerca di un’assenza di definizione, che però rischia di diventare un appiattimento dell’esperienza umana. Si può sostenere infatti che il problema ora non sia la qualità della sessualità ma la qualità delle relazioni. Vogliamo sempre di più non essere definiti dal mondo esterno, ma probabilmente ciò che ci plasma e che ci fa desiderare è anche il mondo esterno. Il fine della discussione, come è stato più volte ricordato durante l’incontro, non è giudicare ma volere comprendere il fenomeno per capire verso dove si muove la società.
Ciò che contraddistingue la psicoanalisi, secondo Luca Nicoli, è che non ha paura della verità. Autore del libro ‘’ Freud e il mondo che cambia’’, decide di fare a Stefano Bolognini le domande sulla psicoanalisi che tutti vorrebbero fare ma che nessuno fa, inquadrando la visione psicoanalitica in una cornice che come sfondo ha la modernità di un mondo in continuo cambiamento. Introduce la teoria di interpsichico di Bolognini, secondo cui è necessario occuparsi non di cosa dire al paziente , ma di come dirlo, restando nella banda di frequenza che il paziente può accettare. Si ragiona anche su come si senta al giorno d’oggi la necessità di contenere l’angoscia, di tornare a riabitare la propria psiche e riuscire stare in un sentire angosciato, per cui ci può essere una fusionalità buona. È evidente come il mondo sia cambiato e continua a cambiare di giorno in giorno, con i social che hanno più la funzione di scarica dell’energia che di contenimento e la mancanza di tempo libero dato anche dalla velocizzazione del tempo, tema che ritorna spesso nelle parole degli interlocutori. Si tende a centrarsi di più su di sé, forse perché la dinamicità dell’esperienza odierna rivela oggetti che non rimangono, che ricordano uno stile di accudimento infantile molto mutato rispetto al secolo scorso. Nel dialogo con Anna Ferruta e Maurizio Stangalino sul libro ‘’L’unità psiche-soma nella cura psicanalitica’’ si trova un ulteriore riferimento alla corporeità e al contatto con l’altro, che deve avvenire alla presenza di un altro che possa tenere insieme il sé e l’alterità senza che questo incontro diventi sopraffacente e annullante per il sé; ciò deve avvenire soprattutto in analisi. Si ragiona anche sul concetto di complessità, comune alla psicanalisi così come alla biologia e alle neuroscienze, queste devono aggregarsi e coesistere senza la pretesa di un riduzionismo sterile ma con la consapevolezza che ciò che appare incoerente a livello macroscopico può essere in realtà coerente su altri livelli e così via. Il disequilibrio è una cosa che sicuramente spaventa, che distacca dal conosciuto, infrange l’omogeneità ma è soprattutto un’occasione integrativa. L’entropia negativa è un aumento del disordine che promuove stati di ordine ed è proprio ciò che fa la psicoanalisi, essa promuove la rottura di schemi ripetitivi, fungendo da disorganizzatore-organizzante: la turbolenza e la caoticità in analisi sono forze creatrici e trasformative. Questo è tipico della biologia e di altre scienze, vedi le strutture dissipative o anche la dimensione perinatale del feto e della madre, dove la gravidanza è una dinamica relazionale in cui l’equilibrio delle cellule della madre si rompe per realizzare una nuova vita, ciò è una co-creazione fatta di distruzione e creazione.
La speranza è quella di pensare le cose in una maniera nuova guardando alla molteplicità, cosa che si cerca sempre di non fare. L’instabilità di uno stato promuove una riorganizzazione spontanea, anche nella mente. La psicoanalisi è una scienza difficile ma ha la possibilità di avere a che fare con delle relazioni non complicate che permettono però di carpire la complessità umana.
Si è inoltre trattata la questione dell’impatto che la pandemia ha avuto su tutti noi, come quest’esperienza scombussolante abbia provocato un crollo dell’onnipotenza, facendoci sprofondare in una profonda sensazione di impotenza. Vengono presentati i libri ‘’Lock-mind’’ e ‘’Dalla pandemia alla guerra. Appunti’’. Moroni cita Bollas con il ‘’ritorno dell’oppresso’’, concetto quasi profetico, in un mondo dove regna la velocizzazione e l’orizzontalismo, come si può vedere sui social come in televisione: si passa infatti da un argomento ad un altro come se avesse tutto la stessa valenza, vi è un appiattimento del sentire, del desiderare. La pandemia è stata sicuramente una catastrofe, vi è stato l’aumento delle sofferenze psicologiche, il timore profondo e indicibile di cadere nell’oblio dell’impersonalità, in una bara senza nome che sfila in mezzo a decine di altre; nonostante questo è stato un momento per percepire il senso di un limite che non c’era, la conquista di essere fragili e deboli che ci ha reso un po’ più umani. Il covid è diventato simbolo di un perturbante angoscioso e invisibile, che si attacca alla pelle, ai vestiti e deve essere lavato via. ‘’ La carne degli altri non è un bene di prima necessità, e gli altri non li posso pulire’’, sono parole di un video mostrato che ben rappresentano secondo me il doppio significato del corpo nel momento della quarantena: l’assenza di contatto e la concretezza della malattia, respinta in tutti i modi. È stato interessante secondo me anche il riferimento a Cecità di Saramago, libro in cui la malattia sconosciuta e invisibile della cecità bianca serpeggia tra tutti quanti e come sintomi finali sembra avere la perdita di umanità, del pudore che tiene insieme in maniera fragile la condizione umana.
In un mondo dove sembra essere impossibile fermarsi per pensare, dove non ci si può permettere di avere tempo libero perché è troppo angosciante anche guardarsi in uno specchio, c’è bisogno di recuperare la verticalità tra le generazioni e la capacità di stare fermi in un tempo che ci permetta di affacciarsi sulla complessità della realtà.